L’Europa ha fatto la storia del vino, è la tradizione, il meglio che si possa bere. Le aziende del vecchio continente possono fregiarsi di svariati secoli di tradizione enoica, ma quelle del resto del mondo innovano e avanzano spedite, scrollandosi i complessi di inferiorità producendo qualità sempre più crescente e convincente ad un prezzo vincente.

È ancora innegabile che tutti coloro i quali abbiamo in mente di comprendere veramente il vino debbano passare obbligatoriamente dall’analisi delle grandi bottiglie francesi e italiane, i prezzi più alti alle aste sono sempre raggiunti dai grandi vini europei, i winelovers del Nuovo Mondo amano viaggiare e scoprire le storiche cantine del vecchio continente.

Da queste affermazioni sembrerebbe, dunque, che il vino europeo sia ancora totalmente al centro dell’universo enologico, tuttavia, chi si rapporta costantemente con colleghi di svariate parti del mondo sa che questo regnare incontrastato del vino europeo si sta avviando alle battute finali.

In Italia, da qualche tempo, per i numerosi rincari della filiera, si parla di continui aumenti dei prezzi delle bottiglie, però è netta la sensazione che nel 2022 le cantine medie europee dovranno faticare per piazzare sui mercati esteri, soprattutto quelli emergenti, la stessa quantità di bottiglie del passato, con gli stessi prezzi, quindi non rincarati.
Certo non parlo dei favolosi “B”, i migliori Bordeaux, Borgogna, Brunello, Barolo, quelli potranno permettersi di avere prezzi irraggiungibili, mentre i vini medi sono destinati a soffrire, pur essendo ancora più buoni di quelli del Nuovo Mondo o degli asiatici, ma non sempre purtroppo.
Ormai tanti vini basici del Nuovo o Nuovissimo Mondo hanno anche qualcosa di territoriale, il loro modo di concepire il vino si è evoluto, rossi dai colori meno densi, dagli ottimi aromi fruttati nei quali la vaniglia ha perso il ruolo primario, ma noi continuiamo a sottovalutarne sia la loro piacevolezza, sia la loro penetrazione commerciale.

Un nuovo e fondamentale mercato per il vino europeo, la Cina, inizia a produrre per se stesso vini di livello, tre anni fa in giro per aziende cinesi, ho avuto modo di bere strepitosi rossi da Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot Noir, Syrah, Marselan, e grandi bianchi da Chardonnay e Riesling, ma anche tanti ottimi vini da vitigni locali.
In Italia e nella vecchia Europa, i meno attenti, non sono affatto preoccupati e ingenuamente chiosano sicuri del fatto loro:” Tanto questi vini qui non arrivano”.
Il problema certo non sussiste per chi gioca a fare vino producendo poche migliaia di bottiglie, ma le aziende di medie dimensioni che fanno tanto export, per non restare indietro, devono avere ben chiaro che la nostra eredità secolare di depositari di qualità e tradizione non basta più, è necessario fare vini sempre più identitari, ed è obbligatorio calarsi nell’idea del mercato mondiale del vino che evolve continuamente, confrontandosi oltre la propria realtà locale.

Che vino ci porterà il 2022? Speriamo ci porti, dunque, un vino sempre più vero ed intimamente legato al sito produttivo, inteso però come valore aggiunto, e non come spesso avviene come un limite di comprensione, fruizione e competizione nel mondo enoico.

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