Bisogna tornare alla vite europea franca di piede, perchè la finezza dei suoi vini è insuperabile e la sua resistenza alla siccità ci consente di contrastare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici.
La Vitis vinifera, rappresentata nel mondo dal 99% delle varietà, è stata coltivata per 8000 anni franca di piede e propagata per seme o talea nelle singole aziende.
Con l’avvento della fillossera (fine 1800) i Proff francesi Planchon e Viala, che avevano studiato il fenomeno negli USA, consigliarono l’innesto sulle specie americane. A quell’epoca in Francia si formarono due linee di pensiero: gli americanisti favorevoli all’innesto e i tradizionalisti desiderosi di salvare la Vitis vinifera in purezza trattandola con iniezioni di solfuro di carbonio presso le radici. Vinsero gli americanisti e si bloccarono anche le ricerche sulle alternative al solfuro di carbonio. Si erano già sperimentati altri composti antifillosserici radicali, mentre non erano conosciute le conseguenze dell’innesto: influenza sul vigore, sulla resistenza alla siccità e al calcare, sulla qualità e su altri caratteri.
In effetti la combinazione d’innesto ha prodotto un individuo costituito dai geni di 2-3 specie di cui non si conoscevano le caratteristiche. Fortunatamente non vi furono mutazioni genetiche della Vitis vinifera, ma l’innesto ha, fra l’altro, ridotto la durata dei vigneti da ultracentenari (ancora esistenti in diversi Paesi) a vigneti che durano 15-25 anni, con tutte le conseguenze, anche economiche. Le cause sono numerose ma molti tendono ad attribuirle alla diffusione delle malattie (anche per innesto), quali certe virosi,le malattie del legno ( Mal dell’Esca, Legno nero) e la Flavescenza dorata. Si è pensato di colpevolizzare anche le tecniche di innesto, che si sono evolute da manuali a meccaniche, dall’innesto a doppio spacco inglese a quello ad omega. In effetti già in vivaio la resa in barbatelle degli innesti- talea varia dal 40 all’80% a seconda dei portinnesti utilizzati.
Ma la vera causa è più profonda, ossia riguarda la disaffinità fra la Vitis vinifera e molte specie americane, dato che oggi sappiamo che su 75 specie americane solo 5 o 6 sono utilizzabili per l’innesto,che comprende la saldatura del callo d’innesto ma anche la radicazione. La disaffinità o incompatibilità si manifesta a livello della saldatura dei due tessuti cambiali, con un combaciamento o un rigetto anatomico e genetico-biochimico, tipo quello che si verifica in campo umano con i trapianti di organi. Da Barnard,che attuò il primo trapianto di cuore, la ricerca ha fatto progressi da gigante, consentendo di classificare a priori i cuori, i polmoni, i reni, i fegati, i pancreas, ecc. e di poterli abbinare su persone a distanze a volte elevate.
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L’innesto, come sosteniamo da tanti anni, è un trapianto di organo, che manifesta incompatibilità non solo in vivaio ma altresì in vigneto, ad iniziare dai 9-10 anni, con necrosi dei tessuti cambiali al punto d’innesto e la morte del ceppo per interruzione della doppia circolazione linfatica. Le ricerche sul rigetto dell’innesto non sono affatto paragonabili a quelle che afferiscono ai trapianti umani. È venuto il momento di procedere come nella chirurgia al fine di conoscere e classificare le cause genetiche e biochimiche della incompatibilità delle combinazioni d’innesto.
Le ricerche in merito sono limitate, ma sappiamo che le specie americane sintetizzano molti antociani diglucosidi (malvidolo), assenti nella Vitis vinifera, che sintetizza solo antociani monoglucosidi. Il malvidolo è tossico per l’uomo, tanto che l’UE ha posto il limite di 15 mg/l. In certi ibridi euroamericani il malvidolo è giunto a 1500 mg/l nel vino. Forse i giovani tessuti cambiali del callo d’innesto sono sensibili alla tossicità del malvidolo delle specie americane utilizzate come portinnesto.
Un altro composto presente in forte quantità nelle membrane delle cellule delle specie americane è l’acido pectico (che nella fermentazione origina il famoso metanolo), del quale non conosciamo l’effetto sui tessuti cambiali del callo d’innesto. Sono questi due esempi di ipotetica tossicità biochimica, ma chissà quante altre molecole delle viti americane o europee svolgeranno le stesse funzioni.

Le disaffinità genetiche nelle specie di vite sono conosciute solo a livello genomico, a proposito dell’incompatibilità fra le specie americane del genere Muscadinia (es. la Vitis rotundifolia) avente 40 cromosomi e le specie del genere Vitis, aventi 38 cromosomi. Non sappiamo tuttavia se alcuni tratti del DNA possano sintetizzare proteine inadatte, non affini, per la moltiplicazione cellulare a livello cambiale.
Un nostro articolo pubblicato in Francia sulla Révue des Oenologues ha prodotto una reazione su un popolo inspiegabilmente soddisfatto dei risultati di 150 anni di innesti euroamericani e il presentatore ha giudicato positivamente il risveglio scientifico sull’argomento in oggetto e richiamato la necessità di rivedere l’innesto alla luce di una sperimentazione moderna e sufficientemente lunga.
Ad esempio un’altra linea di ricerca può essere la sintesi o l’individuazione di molecole antifillosseriche, a livello radicale e fogliare, trasferibili dalla via epigea a quella ipogea e viceversa. Già esistono ma non sono mai state sperimentate. Così esistono dei nematocidi radicali biodegradabili già impiegati in orticoltura ma mai in viticoltura. Si pensi ad una molecola ormonale che nel terreno possa determinare la confusione sessuale e impedisca la riproduzione della fillossera radicicola, la più pericolosa per la vita delle radici e la mortalità della pianta. Nei terreni silicei e acidi della Sardegna e di Morgex già questa confusione sessuale avviene in natura. Altrettanto la vita della fillossera radicicola è resa impossibile dai terreni vulcanici, acidi, quali quelli del Cile, dell’ Etna e del Vesuvio.
In Toscana abbiamo iniziato una sperimentazione che prevede una decina di tesi diverse antifillosseriche, ma il mondo scientifico non se ne occupa da decenni, ritenendo i risultati dell’innesto sostenibili in tutti gli aspetti.
Chi scrive è invece del parere che bisogna tornare alla vite europea franca di piede, perchè la finezza dei suoi vini è insuperabile e la sua resistenza alla siccità ci consente di contrastare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici.In questi ultimi tempi l’interesse pratico, commerciale e culturale verso le viti vecchie e quelle franche di piede si è moltiplicato, specie a Londra con la fondazione della Old Vine Conference da parte dei Master of Wine nonchè con l’istituzione a Bordeaux dell’associazione delle viti franche di piede.
Infine l’innesto ha contribuito ad una fortissima riduzione della biodiversità, sia su scala varietale che dei portainnesti, non osservando cosi quanto è scritto nella Costituzione italiana.
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