Degustiamo sempre più vini biologici, negli ultimi anni la percentuale dei campioni italiani assaggiati provenienti da conduzione agricola biologica e biodinamica è salita enormemente e non solo dalla Sicilia regione principe del biologico.
Partendo da un concetto indiscutibile, “bio” è prima di tutto una garanzia di maggior salute per tutto l’ecosistema ed in particolare per l’uomo, siamo sicuri che un vino bio significhi un vino migliore?
La produzione biologica di uve comprende in maniera ampia: il suolo destinato alla coltivazione, i vigneti presenti, il ciclo della sostanza organica, l’ambiente naturale, la flora e la fauna del territorio.
Nel vigneto devono essere presenti uve esclusivamente biologiche, ossia coltivate senza l’aiuto di sostanze chimiche ed organismi geneticamente modificati. La vinificazione deve essere eseguita solo con processi e prodotti enologici autorizzati da un preciso regolamento. I livelli di anidride solforosa del vino biologico imbottigliato non possono superare i 100 mg/l per i vini rossi e 150 mg/l per i bianchi.
Quali i risultati nel bicchiere? Da più parti l’esperienza insegna che i vini bio posseggono un’acidità più evidente grazie all’abolizione dei fertilizzanti, in particolare del potassio, che alza il valore del ph nell’acino.
L’incremento della mineralità al gusto è marcata, oltre che l’intensità e la persistenza degli aromi, qualunque sia il vitigno di origine.
Tutte queste note di carattere positivo si esprimono se il luogo di coltivazione del vitigno è d’elezione, altrimenti è facile trovarsi nel bicchiere un vino squilibrato.
In altre parole, quando l’agricoltura bio è condotta in vigne che si trovano in ambienti viticoli di scarso valore e con produzioni per ettaro eccessive, questa restituisce vini disarmonici, poco piacevoli rispetto ai vini ottenuti con viticoltura convenzionale.
La considerazione finale che ne deriva è che l’agricoltura biologica tende ad esaltare nel bene o nel male le caratteristiche del terroir, ma di per sè non fa la qualità del vino.
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