Spumanti dell’Etna, uno degli eventi più attesi sulle migliori bollicine prodotte sul vulcano più alto d’Europa, giunto alla quarta edizione. Dopo la masterclass della mattinata “Non chiamateli rosè”, nel pomeriggio è andata in scena “Le bollicine come scoperta dei territori”, un talk con degustazione.

di Davide Vicino

Nella splendida location d’eccezione di Palazzo Scammacca, sito a due passi dal Duomo di Catania, ha avuto luogo la tavola rotonda con degustazione a tema “Le bollicine come scoperta dei territori”, un vero e proprio viaggio sensoriale e gustativo con l’obiettivo di raccontare le sfumature dei vari versanti dell’Etna, tra affinità e differenze delle numerose cantine partecipanti.

L’appuntamento è stato aperto da Francesco Chittari, Presidente dell’associazione Spumanti dell’Etna, con la presenza di ospiti d’eccezione quali Marco Nicolosi (Consorzio Etna Doc), Santi Natola (Cantine Nicosia), Claudio Di Maria (Murgo) e Federica Milazzo (Gambino Vini). Gli interventi hanno tratto interessanti considerazioni sul concetto di terroir, scomponendo le varie sfaccettature di questo termine utilizzato dai francesi per descrivere il legame tra un vitigno e il territorio in cui si inserisce, tra condizioni naturali, fisiche e chimiche di una determinata zona geografica.

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“L’acidità è l’elemento fondamentale per realizzare uno spumante equilibrato e che possa resistere al tempo”, racconta Michele Scammacca di Murgo, intervenuto durante la degustazione. “Dobbiamo insistere e cercare proprio questo elemento; abbiamo un territorio straordinario in questo senso e Murgo ha capito le sue potenzialità quando trent’anni fa abbiamo iniziato la produzione di spumante. Il Nerello possiede qualità molto simili al Pinot Nero, e ricordiamoci che con quest’ultimo vengono prodotti tra i più importanti champagne al mondo”.

Si è quindi aperta la tavola rotonda con una degustazione alla cieca di 6 etichette di spumanti etnei con un intruso, al fine di stimolare paragoni e carpire i comuni denominatori delle bollicine prodotte sull’Etna. Si è inoltre discusso anche della possibilità di inserire Carricante – il vitigno autoctono a bacca bianca più rappresentativo del vulcano – all’interno del disciplinare di produzione dello spumante a partire dal 2023.

Gli assaggi al buio hanno trainato la degustazione attraverso note conosciute e piacevoli sorprese, saggiando la preparazione dei presenti. Tutti i metodo classico proposti hanno confermato componenti comuni, freschezza e mineralità su tutti oltre a marcate punte di acidità, a confermare le peculiarità organolettiche dei terreni vulcanici; crosta di pane e bouquet floreali intensi con note agrumate spingono il naso come solo questo territorio riesce a raccontare.

I vini spumante metodo classico degustati:

Etna spumante Brut millesimato 2016 (Gambino);

Questo alice si presenta con un importante colore giallo dorato intenso coronato da un perlage fine e persistente, bouquet aromatico vario con note floreali, di nocciola e crosta di pane dovuto ai 48 mesi sui lieviti. Buona struttura alla bocca grazie al perlage fine sorretto da un’interessante freschezza.

Sosta Tre Santi Brut (Cantine Nicosia)

Un calice che esprime un giallo paglierino lucente, un intenso ed elegante naso che va aprendosi ad una piacevole mineralitá sorretta da un’importante spalla acida al sorso; un vino molto equilibrato, che mostra notevoli caratteristiche anche per un eventuale invecchiamento in cantina.

Perlè (Cantine Ferrari)

Malgrado punti in comune con gli spumanti etnei, si lascia riconoscere specialmente per una spiccata rotondità al palato accompagnata da note vanigliate a tratti affumicate date dell’affinamento di 8 anni sui lieviti. L’intruso della degustazione si lascia riconoscere per caratteristiche organolettiche che non appartengono a quelle tipiche delle produzioni sull’Etna, ma risulta ugualmente un’ottima etichetta che può accompagnare piatti strutturati o anche essere degustata da sola.

Extra Brut (Cantine Murgo)

Risulta una notevole sorpresa l’Extra Brut Murgo 2015; il colore scarico e la grande acidità, elementi che farebbero pensare ad un vino giovane, dominano la scena, nonostante sia un vino ben più maturo di quanto lascia intravedere. L’esame gustativo morbido e poco persistente confermano questa percezione, a conferma di come si esprima l’estrema finezza sul versante orientale del vulcano.

Gaudensius blanc de blancs (Firriato)

Si presenta giallo paglierino scarico con un perlage molto persistente con sentori spiccati di pietra focaia e fiori bianchi, con una particolare intensità al palato mitigata dalla piacevole freschezza. Probabilmente un’annata ancora giovane, ma che esprime già notevoli caratteristiche gusto-olfattive dovute ai 36 mesi di affinamento sui lieviti.

Mon Pit (Cantine Russo)

Risulta un giallo dorato acceso, perlage fine ed elegante, con un floreale intenso misto alla crosta di pane come sentori principali, trasformati in bocca in una piacevole struttura; bocca rotonda e armonica con un’ottima persistenza contornato da un finale secco e minerale .

La tavola rotonda con degustazione alla cieca risulta dunque un grande successo, capace di raccontare i terroir dell’Etna e le diverse interpretazioni che differiscono dai versanti e dalle varie altitudini in cui vengono innestati i vigneti, a dimostrazione della grande dimensione e della vasta biodiversità che il vulcano riesce a trasmettere diversamente in ogni territorio.

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